VITE DI PLASTICA Festivalfilosofia sulle Arti

POST-UMANO

Parlare di umano in una società ormai massificata ed improntata all’immagine, è impresa ardua, poiché ci ritroviamo a fare in conti, soprattutto in quest’epoca contemporanea, con ciò che viene identificato come artificiale, anche da un punto di vista sociale e antropologico. Il nostro stesso corpo è da ritenersi più culturale che naturale, e’ di fatto un manichino che il design e la moda si propongono di arredare. Il bombardamento massmediatico contribuisce a incellofanarci il cervello e a renderci iper -connessi in tutti i momenti della giornata, iper – reperibili e iper-plastificati.

Il discorso pittorico di Eleonora Mazza parte da molto lontano, non a caso la serie inedita presentata in mostra è frutto di un lavoro intimista durato anni di studio e che fa riferimento anche a dati autobiografici, in particolare al giocattolo – icona della sua infanzia, quella Barbie che rappresenta da sempre uno status-symbol per ogni bambina. Una tematica, quella delle bambole, non così superficiale come potrebbe sembrare, poiché nasconde in realtà delle implicazioni difficili e insidiose. Non a caso viene scelta dall’artista la bambola più chiacchierata e discussa di tutti i tempi, alla quale è stata dedicata anche una controversa esposizione istituzionale poco tempo fa, per rimarcare il messaggio distorto sul femminile di cui si rende viatico, non essendo un modello educativo sano. L’artista gioca con ironia e con una punta di sarcasmo che non si limita alla denuncia, sull’evoluzione del giocattolo rendendolo umanamente appetibile sebbene non dissimile alle tipologie di donne vere, fornendoci un’analisi dettagliata della varietà dell’universo femminile, dalla donna velata a quella che imbraccia il fucile, da quella secca a quella grassa.

La discussione incorpora anche le dinamiche familiari, tra visioni stereotipate di genitori perfetti che evitano il conflitto e intrusi che diventano vittime dei soprusi parentali.

I giocattoli sono quindi metafora di uno scambio emotivo umano che funge da veicolo di alienazione del soggetto. Come nella figura di Pinocchio, in cui l’imperfezione umana, definita dall’ elemento connotativo del dettaglio macabro (il braccio amputato) che simboleggia un tentativo di riscatto da una condizione di automa, viene elogiata come portatrice di bellezza.

Le pulsioni emergono potenti nelle bamboline -involucro apparentemente innocue di Eleonora Mazza, che come esseri viventi lasciano trasparire un’inquietudine umana in modo commovente, pulsioni represse pronte a scatenarsi in un gesto di sopraffazione o di esclusione, fautrici di incontri distruttivi ma allo stesso tempo creativi, come del resto avviene tra fratelli nelle case che odorano di candeggina.

FRANCESCA BABONI

l soggetto come oggetto multiplo

I nostri corpi trasudano artificialità e pure le emozioni che trasmettiamo sono perennemente stereotipate. L’esteriorità ha una rilevanza sempre più considerevole, con ricadute anche sulla mera dimensione interiore e sociale dell’essere. Ecco quindi che la corporeità si deve continuamente misurare con questo artificiale. A ciò pare non poter sfuggire nessuno. Eleonora Mazza presenta in quest’esposizione una serie di opere in cui vi è una dispersione della peculiarità personale a causa di tali alterazioni. Sta infatti nelle imperfezioni del corpo e dell’essere la tipicità del vivere, mentre sistemi subdoli di controllo collettivo cercano di standardizzare verso fasulle perfezioni. L’autrice pesca nel proprio patrimonio personale e in quello generale per proporre un’indagine in cui la tipizzazione dell’esistere trova differenti esemplificazioni. Si parte con un riferimento non solo visivo a Barbie, fenomeno che ha stabilito un canone estetico che si è sedimentato nella vita di tantissime bambine, con implicazioni anche nel mondo adulto. In questa sedimentazione s’immettono porzioni di realtà di donne più attuali, mostrando come tale modello possa essere scardinato attingendo alla vera contingenza. Attraverso la presentazione di altre personificazioni artificiose si vuole scardinare anche il modello della famiglia felice, autentico mantra non solo pubblicitario che attraversa le nostre vite costruite per apparire perfette ed indelebili. Anche le rappresentazioni con Peppa Pig seguono lo stesso filone critico, mentre Ultra corpi ci racconta dell’alienazione della soggettività, poiché siamo solo un numero in mezzo a tanti altri dello stesso tipo. Nell’opera che presenta la figura di Pinocchio si rimanda alla storia del burattino che voleva diventare umano, cioè un amalgama di antropico e artificiale. Anche in Amore per sempre si prospetta un tal tipo d’unione. Le opere su carta con le bambole rappresentano il pericolo che può annidarsi nell’ambiente famigliare, un coacervo di pulsioni di diverso tipo, sovente distruttive. Nella serie L’Attesa si mostrano degli incontri che sono dei preamboli a delle divergenze, eterne diatribe del vivere in comune. In queste opere si presentano quindi personificazioni col sapore dell’umano ma che non possono competere con il più genuino spirito dell’essere. Oggetti insomma con valenze antropiche ma che non potranno mai avere un’emotività autentica.

STEFANO TADDEI